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Mercoledì 8 febbraio
2023 - ore 17:00
Auditorium del
Conservatorio Vivaldi di Alessandria, Via Parma 1
“…in dias luminis oras…”
György Ligeti
(1923-2006)
Studio n. 5 “Arc-en-ciel” (1985)
Toshio Hosokawa (1955)
Studio III (Calligraphy,
Haiku, 1 Line, 2013)
Claude Debussy (1862-1918)
Images, Première Série (1905)
- Reflets dans l’eau
- Hommage à Rameau
- Mouvement
Fabio Grasso (1969)
Irrlicht
(2022, prima esecuzione assoluta)
Robert Schumann (1810-1856)
Arabeske op. 18 (1839)
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Sonata op. 101 (1816)
- Etwas
lebhaft und mit der innigesten Empfindung (Un poco vivace e col più intimo sentimento,
Allegretto ma non troppo)
- Lebhaft.
Marschmäßig (Vivace alla Marcia)
- Langsam
und sehnsuchtvoll (Adagio ma non troppo, con affetto)
- Zeitmaß
des ersten Stückes (Tempo del primo pezzo)
- Geschwinde,
doch nicht zu sehr, und mit
Entschlossenheit (Veloce ma non troppo, e con
decisione, Allegro)
Fabio Grasso, pianoforte
Nell'ambito della Stagione
“I Mercoledì del Conservatorio” 2022-2023
Ingresso libero fino
ad esaurimento posti, prenotazione facoltativa.
“… in dias luminis
oras”
Il frammento di verso
lucreziano posto a titolo generale di questo
variegato programma (“ai fulgidi lidi della luce”) ne illustra l’intento di
esplorare percorsi creativi variamente ispirati dal tema della luce. I brani
che lo compongono, spaziando liberamente su un arco di due secoli, si
presentano ora come trasfigurazioni musicali di immagini inondate di luce
fisica, ora come espressione di slanci interiori verso la luce di folgoranti
rivelazioni.
Così i tremuli
bagliori d’arcobaleno evocati dalle cangianti sequenze armoniche dello Studio
n. 5 di Ligeti si fondono idealmente coi tenui
riflessi che scintillando sulla superficie dell’acqua suggeriscono a Debussy il titolo del brano d’esordio del primo libro delle
Images, un trittico in cui le iniziali velature di
matrice impressionistica si dissolvono gradualmente prima nella discreta
chiarificazione armonica del secondo brano, e poi nel limpido nitore del
finale, fremente volo attraverso le più radiose regioni dell’Etere.
Irrlicht
intende rendere omaggio al ciclo liederistico schubertiano Winterreise,
alludendo non solo all’omonimo Lied n. 9, ma anche agli altri passaggi della
narrazione in cui la gelida notte interiore del viandante sembra mitigata da
singolari luminescenze, dolci o malinconiche nella loro natura inevitabilmente
illusoria.
La trasposizione del
contrasto fra luce e oscurità su un livello semantico figurato è un cardine
dell’impianto concettuale su cui si basa il terzo Studio di Hosokawa:
l’estetica del vuoto, caposaldo del pensiero tradizionale giapponese che il
compositore rivisita attraverso il filtro della cultura occidentale, vive
musicalmente di lunghi silenzi squarciati da violente e fugaci esplosioni
sonore, come fulmini nelle tenebre, o misteriosamente perturbati da sommesse
risonanze, differenti rappresentazioni dell’eterna continuità dialettica degli
opposti, bianco e nero, giorno e notte, solarità e ombra.
Se da un lato il
delicato intarsio pianistico del tema principale dell’Arabeske
di Schumann non può non ricordare gli omonimi motivi
ornamentali il cui pregio si esalta nella mutevolezza delle rifrazioni
luminose, occorre dall’altro andare oltre questo dato superficiale, e
riflettere sulla Coda, dominata da uno dei più autocitati
frammenti melodici schumanniani, un segnale che
ritorna nei momenti di più intima e spontanea confessione, e che svela il suo
significato più profondo nel cuore del Lied op. 25 n. 1 Widmung:
qui dal candido immaginario sentimentale rückertiano
emerge una figura femminile di nobiltà celestiale, donatrice di luce
trasfigurante, certamente identificata da Schumann
con Clara Wieck.
L’ascesa catartica
verso il luminoso trionfo che la sublimità dell’arte e la titanica forza di
volontà assicurano sulle avversità del fato è senza dubbio un elemento chiave
del pensiero beethoveniano, e come tale ricorre a più
riprese nel corpus delle Sonate per pianoforte. La Sonata op. 101 ne è momento
espressivo di capitale importanza, prodromico degli
straordinari esiti dell’ultimo periodo creativo. Essa non sprofonda nei cupi
abissi di tragicità degli Adagi delle op. 106 e 110: agli smarriti
interrogativi del primo movimento offre una prima assertiva risposta con la
vivace Marcia; poi il breve Adagio, quasi prefigurazione di alcuni movimenti
meditativi degli ultimi Quartetti, sfocia senza soluzione di continuità,
attraverso una reminiscenza del primo tempo, nello sfolgorante finale, il cui
motivo principale, di stupefacente incisività ritmico-melodica, informa di sé anche buona parte del secondo
nucleo tematico, e funge poi da soggetto della fuga che costituisce lo
Sviluppo: è proprio la fuga, da sempre per Beethoven
emblema del percorso redentivo, a chiudersi con un
gigantesco picco sonoro, che segna il ritorno a un La maggiore quanto mai
splendente, ed infonde potenza visionaria nelle festose affermazioni conclusive
di verità rilucenti ed intramontabili.
Fabio Grasso
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